"Mare - Monti" può sembrare una formula abusata, se non finanche obsoleta, mentre rappresenta un binomio felicissimo, capace di suscitare attrazione verso le suggestioni che evoca.

Nel Cilento queste suggestioni sono tante e tanto intense, anche, se non proprio, perchè quel connubio evocativo è consostanziale al territorio. Chi dice Cilento dice Mari e Monti al tempo stesso, tanto l'uno e gli altri paiono fondersi in una sorta di simbiosi paesaggistica unica ed irripetibile.

Dalla natura stessa, dunque, promana l'invito ad armonizzarsi in una concorde ricerca di unione e di unità.

Seguendo, forse, un siffatto richiamo interiore e pervasi da quelle risonanze suggestive, abbiamo immaginato di dare vita ad una iniziativa sinergica che nel nome della "bellezza" si concretizzasse in un "atto" di unione e creasse un "momento" di unità.

E quale migliore veicolo potevamo ipotizzare se non l'arte pittorica, per un "viaggio" nel "cuore e nell'anima" di due Paesi diversi ma vicini siccome accumunati dalla medesima "cilentanità"?

Nella certezza che il linguaggio eterno dell'arte , sublimato nelle opere dell'artista Franco Massanova, saprà elevare gli estimatori del Cilento e della bellezza estetica, confidiamo nel successo dell'iniziativa.



Il sindaco di Stella Cilento

Pietro Lisi


Il sindaco di Pisciotta

Aniello Mautone



Testo critico

Timido e mite, premuroso e tollerante, Franco Massanova si è chiuso a riccio, si è rifiutato a qualsiasi compiacimento verso il pubblico, e prima verso se stesso, in difesa della propria verità. In questo atteggiamento lo ha sostenuto un rigore che poteva apparire anche ascetico, o solo ostinato, mentre era vitale per quella verità che l'osservatore era chiamato a comprendere: senza sconti, senza nulla concedere ai suoi gusti particolari. Ne ricordo qui con piacere certe trapeziste degli esordi che volteggiavano folte e rapinose in un bianco assoluto come angele chiaramente sessuate, ma che potevano ancora somigliare a candide rondini antropomorfe oppure a luminose donne ornitomorfe con uno strano muschio rosso che riboccava dalle ascelle, spicciava alla base dei seni e sul pube: creature forsennate, ubriache di vita, tutte prese dalle loro evoluzioni. Tra il 1990 e il 1995 la pittura di Massanova, che è giunta a forme espressive pienamente mature, pare mostrarsi in un aspetto decisamente funereo, delineando nero su nero forme di apparente, pura astrazione. Ma se l'occhio si scaltrisce abbastanza da percepire il codice nascosto nel giuoco delle linee, ecco emergere le sagome, ora vaghe ed ora più leggibili, di una anatomia femminile sorprendente per l'alto tasso di libido che vi immane (non a caso Massanova, a un certo punto, ragionando di modelli, fa cadere ossequiosamente nel discorso il nome di Mirò); ecco, neri tra il nero, gli emblemi di una passione ossessiva e violenta per il corpo come pura macchina erotica. Per questo, adesso, non mi provo a conferire a cuor leggero a codesta pittura una patente metafisica (poiché credo che a Massanova la metafisica non riguardi più di un bottone, di una stringa spezzata), ma mitica certo, e forse anche visionaria, sicché, per illustrarlo, ricorrerei piuttosto, dirottando la questione su sentieri freudiani, al Mauron del "mito personale" oppure a Weber di Genèse de l'oeuvre poetique. Massanova ha bisogno della notte per propiziare l'epifania dei suoi spettri; di campire propriamente sullo schermo-epidermide della notte gli opachi profili dei suoi lacerti anatomici come ombre che nascono da un'ombra più larga e vi posano, immobili, mute (sulla nascita di questa pittura Vincenzo Trione ha fornito preziosi rilievi). Come ombre, dunque, ma per niente vaghe o leggère, bensì fortemente materiate, ed espresse sovente in rilievo con ritagli di sughero, compensato, masonite od altro spessore. Negli anni successivi, e in sostanza fino ieri, Massanova ci ha sorpreso coi suoi fondali più tenui, connotati da campi cromatici conformi e smorzati, ai cui confini si dilungano chiare slabbrature, e sinuose filature si adagiano come spaghi dipanati con la più controllata casualità (ne ha discusso in un intenso resoconto Luigi Giordano): fili di Arianna, scorie femminili di abluzioni o di pettini, residui di rasature pre-balneari? Sono questo, per dire, e quant'altro si potrebbe rinvenire nelle tasche o nei sogni di un Lennie Small, di un doppio del vigoroso, tricomane giovanotto di Uomini e topi. Ma veniamo agli ultimi esperimenti, dai quali qualcuno potrà desumere degli esiti clamorosi per la netta, in apparenza quantomeno, conversione al colore che adesso contrassegna le forme (stagliate a volte, per intero o parzialmente, in un fondo violaceo, carbone, grigio-ceruleo), mentre più giusto sarebbe discutere di un coerente e moderato rinnovamento. Che pure gli è costato, a Massanova (che mi parla di " gran salto", di "decisione radicale", come se si trattasse di un rito di passaggio), un travaglio considerevole. Mentre sa bene anche lui che quel rosa a cui si è rivolto attualmente è il preciso correlativo del nero maniacale impiegato anni prima: un non-colore, così come un non colore era quel nero. Mutato, insomma, l'aspetto, non mutato affatto il senso e la funzione. Un rosa, si diceva, che in qualche occasione, per la sua vivacità, può sembrare anche osceno, o sfrontato senz'altro; un rosa, ancora, variato in tutta la sua gamma (ed oltre, per effetto di astute velature), magari limitrofo di moduli giallo-cupo o verde acido: prove di forzatura o forse assaggi di atmosfere informali. Un'attenzione specifica inoltre è rivolta alla superficie della tela (integrata pienamente col disegno), sottoposta a una sorta di processo plastificante, su cui vengono indotti effetti di usura paragonabili a quelli di un lungo sfregamento su una pista di linoleum, così da renderla più " sudicia", tramata, capace di richiamo. Al tempo stesso la sintassi che organizza l'insieme dei moduli è più netta, perentoria nel tracciato delle sagome, che vengono distinte da linee di nero fortemente affilate e densamente marcate. Niente più squarci di ferite luminose, e rade matassine che le percorrono; nessuna ambiguità nella trama del disegno. Quel corpo archetipo, suggerito nell'insieme da forme emisferiche variamente sezionate e riassemblate, ora appare più

compatta, ostentato in un blocco strenuamente plastico. […]

Renato Aymone, 2004